Namaste, India.

“Ma in realtà quel’è il mio paese?” mi chiesi. Fu solo dopo essermi posto quella domanda che capii di conoscere la risposta. Se avevo una patria, una nazione nel cuore, quella era l’India.

Gregory david Roberts

Shantaram

Letteralmente, Shantaram significa “uomo della pace di Dio”. É il nome che gli abitanti di un villaggio marathi danno al protagonista di questo capolavoro della letteratura contemporanea. Non fatevi ingannare o intimidire dalla sua mole: io me lo sono divorato in pochissime  settimane. Anzi, è lui che ha divorato me. Shantaram è uno di quei libri che ti prendono per mano e ti portano dove vogliono loro. Bastano un paio di capitoli e ti sei già perso per i vicoli di Bombay; se chiudi per un attimo gli occhi puoi sentire l’odore speziato del masal, il vociare concitato di quell’umanità così densa, complessa e sfaccettata che compone questo immenso paese. Ti sembra di essere assieme a Greg e Karla nella penombra del Leopold a bere birra ghiacciata e vorresti mettere una mano sulla spalla di Prabu, sperando che si volti e ti conceda quel sorriso che sa aprire il cuore degli uomini… E la cosa più assurda di tutte non è la perfezione stilistica, né l’eccezionale bellezza della narrazione, né l’adrenalina che senti scorrerti nelle vene in certi passaggi. No. La cosa più assurda è che è tutto vero. Dalla prima all’ultima riga, sai che quest’avventura incredibile è solo la fedele cronaca di una vita vissuta sul filo di lana, col fiato corto e senza paura. Vorresti essere lui, dall’inizio alla fine. Vorresti entrare dentro le pagine, insinuarti tra le righe, vestirti dei colori sgargianti delle Sari delle donne. Vorresti e un po’ lo fai. Ché è questo il bello dei libri, è questo il bello di scrivere: la possibilità di poter vivere mille vite diverse, di visitare i luoghi più lontani, di gustare le pietanze più esotiche… ogni volta che vuoi. Sono lì, racchiusi tra quelle pagine. Quando apri Shantaram, fai fatica a richiuderlo. E quando lo finisci, sei triste. Io non rileggo mai un libro, ma per questo potrei fare un’eccezione. Per ora era successo solo con Delitto e Castigo del buon vecchio Fëdor. E ho detto tutto. Leggetelo per un unico motivo, che è quello che poi accomuna tutti i grandi romanzi, da sempre: dopo non sarete più gli stessi. Lascia un segno, dentro.

E per rimanere in tema di passioni e di India, ecco che vi posto una bella ricettina etnica: ho deciso di inaugurare una nuova rubrica del blog, così per dare un senso a tutta questa accozzaglia farneticante che scribacchio da poco più di un anno. E la rubrica sarà Books vs Food: ogni settimana vi parlerò di un libro che ho amato e vi associerò una ricetta. Sia chiaro che questo non è e non sarà mai un foodblog: ce ne sono già abbastanza in giro per il web e a me non piace affatto essere una tra i tanti. Anche perché per distinguerti devi essere davvero molto bravo ed avere anche molto tempo. E io non ho nessuno dei due requistiti appena citati, quindi ciccia, come si dice dalle mie parti. La ricetta è molto semplice e abbastanza leggera: se amate le spezie ve la consiglio. Io le adoro, così come lo yogurt intero home made (o quasi dai, l’ho preso in un caseificio in zona, è super fresco). Eccola qui, rivisitata da me dopo qualche tentativo. Come dice Chef, è ancora migliorabile. Non è mai contento quest uomo. Uffa.

Petto di pollo tandoori con basmati e salsa al mango e cipolla rossa

INGREDIENTI

400 gr di petto di pollo

200 gr yogurt bianco intero

1 cucchiaino di paprika dolce

1 cucchiaino di curcuma in polvere

1 cucchiaino di garam masal (si trova nei negozi bio, oppure potete farvelo da soli, qui la ricetta)

1 cucchiaino di zenzero in polvere (o 2 cm di quello fresco grattugiato)

2 lime

1/2 cipolla rossa

1 mango

200 gr di riso basmati

sale

pepe verde

Affettate i petti di pollo a tocchetti. In una ciotola capiente mescolate lo yogurt con le spezie, unite il succo di 1 lime e il petto di pollo. Mescolate con le mani (mettere i guanti, le spezie macchiano) e mettere la ciotola in frigo. L’ideale è che la carne resti in marinata tutta la notte. La cucina indiana non è, come dire, espressa e non va bene se avete fretta o dovete rimediare una cena e volete fare i fighi con l’etnico.

Il tandoori prende il suo nome dal Tandoor, il forno di argilla cilindrico dove si cuoce la carne e qualche tipo di pane. Siccome nessuno di noi credo ne possieda uno, accontentiamoci del grill del nostro comune forno occidentale.

Preriscaldate il forno a 200°, mettete il pollo assieme alla marinata in una teglia e infornate per una mezz’oretta. É probabile che verso fine cottura il pollo rilasci parecchio liquido di cottura: è ok, potete buttarne un po’. Ma non tutto, come ha fatto Chef stasera intrufolandosi in cucina (non ce la fa, è più forte di lui), altrimenti il pollo risulterà troppo secco.

Fate bollire il basmati, scolatelo al dente e tenetelo in caldo. Irroratelo con poco olio e mescolate, così i chicchi non si incolleranno.

Sbucciate il mango (deve essere maturo ma comunque sodo), frullatelo. Tagliate finemente la cipolla e unitela al mango frullato. Salate e pepate a piacere. Infine irrorate con il succo del lime e mescolate il tutto. Lasciate riposare la salsa in frigo per 20 minuti-mezz’ora.

Quando il pollo sarà bello dorato togliete dal forno. Trasferite su un piatto di portata, unite il basmati e la salsa al mango et voilà!

Nice Tandoori Chicken to everyone!

 

8 Risposte a “Namaste, India.”

  1. Se non avessi una pila di libri alta un metro e mezzo in arretrato sul comodino, lo comprerei subito, questo libro qui, mi ha messo una voglia di andare (anche se vitualmente, per ora) in India, che non si può spiegare.
    E comunque: grazie per essere passata dalle mie parti: anche io ti leggo sempre, e ammiro molto quello che dici e il tuo delizioso e bellissimo modo di scrivere. ! passa quando vuoi, io ci sarà piu’ che posso, in questo bellissimo posticino.

    1. troppi complimenti! mica me li merito eh.
      Ti dico solo che quando mi regalarono Shantaram ero al settimo mese di gravidanza e soppesandone la mole ricordo che pensai “quando sarà nato mio figlio non l’avrò ancora finito”. E invece ci ho messo meno di un mese. Merita, a dispetto del metro e mezzo di “colleghi” sul comodino 🙂

  2. Questa nuova rubrica è geniale, mi piace un sacco l’idea, bisogna pubblicizzarla. Mai pensato di pubblicare direttamente gli aggiornamenti del blog sia su FB (già lo fai) che su Twitter, Tumblr ecc, tramite feed (quindi quasi automaticamente)?
    Dobbiamo farlo, nessuno può lasciare Laura in un angolo. Oh.
    Bacilli.
    Son tornata. Evviva.

  3. si, ci ho pensato ma dovrei imparare come si fa. 🙂

    sei un amore, grazie. e sono muy feliz che tu sia tornata, era ora!

  4. Leggo ora questo tuo post Laura e…complimenti. Scrivi benissimo, mi hai fatto venire voglia di leggere questo libro, oggi corro in libreria e sarà il regalo che mi farò (anche se non sono una fanatica del Natale, ormai è diventata una festa quasi esclusivamente commerciale). Sono felice di aver trovato questo angolo del tuo blog, ho sempre letto moltissimo fino a qualche anno fa poi, gli impegni, le preoccupazioni (quando non sono serena non riesco a concentrarmi) ed anche la carenza di materia prima mi hanno fatto desistere. Forse non so cercare, o non mi informo adeguatamente, ma ultimamente non trovavo più libri scritti bene o interessanti. Quindi ben vengano le tue indicazioni.

    Anch’io non rileggo spesso ciò che ho già “macinato” ma ho fatto un’eccezione per il Barone Rampante:cinque volte!!! E ancora lo adoro.

    1. Shantaram è l’unico libro che mi porterei via se dovessi andare su un’isola deserta. Semplicemente è un capolavoro.
      Grazie dei complimenti; non scrivo benissimo, faccio del mio meglio per non scrivere male 😉

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