#iosonoSara

Volevo scrivere un altro post. Volevo scrivere qualcosa del libro che sto leggendo, delle bellissime emozioni che mi suscita. Volevo scrivere anche di un incontro che non credo sia stato casuale e che mi ha fatto riflettere tanto sui miei errori passati e le conseguenze che ne sono derivate e che ho pagato fino all’ultimo centesimo. E avrei voluto scrivere qualcosa anche sul periodo particolarmente produttivo che sto attraversando, quella fucina creativa che non mi fa stare mai con le mani in mano e che mi fa sfruttare ogni attimo libero per creare: scrivo, disegno, progetto come se non ci fosse un domani e non sento per niente la stanchezza.

E invece no.

E invece da ieri sera ho un tarlo che mi gironzola in testa e non mi da pace. Dopo aver messo a letto i bambini, ho selezionato una playlist rilassante e armata di pastelli e tisana bollente, ho deciso di passare l’intera serata a colorare mandala per distendere la mente, ma non è servito a molto: c’era sempre quella sensazione di disagio che mi stava appiccicata addosso come miele alle dita. C’era quel buio, dentro. C’erano quell’inquietudine e quella tristezza profonda che mi assalgono ogni volta in cui un fatto così tristemente efferato viene messo sotto le luci della ribatla. L’omicidio di Sara Di Pietrantonio non colpisce solo per la cattiveria con il quale è stato perpetrato: è l’indifferenza generale in cui si è potuto consumare a lasciarmi senza fiato. Il fatto che su un viale piuttosto trafficato una ragazza che scappa implorando aiuto perchè inseguita da un pazzo omicida venga palesemente, platealmente ignorata, mi fa stare malissimo. Perchè questa è la prassi: voltarsi da un’altra parte, per paura, per omertà, per indifferenza. Il massimo del coinvolgimento, a livello generale, è chiamare il 113 con lo smartphone. Se si fossero fermati in due o tre, se avessero cominciato a suonare il clacson, a mostrare coinvolgimento, molto probabilmente Sara sarebbe ancora viva. Ed è questo a non darmi pace. Perchè oggi è successo a una ragazza che non conosco, ma se questo tende a diventare un normale atteggiamento di vita, domani potrebbe capitare a me, a mia nipote, a mia sorella o ai miei figli.

E se ci fossimo fermati, il mondo oggi sarebbe stato un pochino più bello. Non dico molto, ma ci avrei visto un po’ di speranza. E invece non riesco ad avere un pensiero positivo. Non riesco ad avere fiducia, oggi. Sicuramente domani andrà meglio e via via mi passerà questo abbattimento morale e ricomincerò a lavorare per far sì che i miei figli diventino persone diverse, persone che non avranno un attimo di esitazione, di fronte a queste cose. Persone che metteranno l’empatia e il rispetto degli altri sempre al primo posto. Persone che non cadano mai nel becero populismo e che non si faranno mai prendere dallo sconforto, nonostante la vita offra continui spunti per poter cadere in tentazione. Persone migliori di quelle che hanno voltato la faccia dall’altra parte, mentre una ragazza di ventidue anni veniva arsa viva, come nel Medioevo, perchè non si considerava, giustamente, di proprietà di nessuno.

Vorrei che crescessero sempre consapevoli del fatto che il rispetto dell’altro passa prima dal rispetto e dalla consapevole accettazione di se stessi, dei propri limiti e dei propri difetti. Vorrei che cercassero negli occhi dell’altra persona con la quale decideranno di spartire un pezzo di cuore e di vita non una conferma di un diritto a possedere, ma la meravigliosa gioia della condivisione e del camminare mano nella mano per un pezzo di strada. E se qualcosa dovesse mai interrompere questo cammino vorrei che sapessero sempre che anche dal dolore della separazione e della rottura si esce con qualcosa in più, qualcosa di cui fare tesoro e da cui imparare.

E vorrei anche che ogni volta in cui una di noi subisce una violenza, che sia verbale, fisica o psicologica, che sia di piccola o media o immensa entità, smettesse di tacere. Vorrei davvero che ogni donna da oggi prendesse coscienza del fatto che ogni volta in cui sta zitta, subendo qualcosa che non gradisce, fosse anche uno sguardo o una battuta un po’ troppo spinta, aggiunge un surplus al disagio che già sta subendo. Perchè tacere significa dar loro la possibilità di sentirsi legittimati a procedere ed è ora di far basta. Vorrei che smettessimo di considerarci sempre un po’ in difetto, quando ci capita qualcosa. Vorrei che la piantassimo di avallare questa assurda millenaria teoria del cazzo che ci vuole sempre un po’ disponibili e consenzienti.

Lo vorrei, per Sara e per tutte quelle che sono state ammazzate prima di lei e per quelle che, purtroppo, verranno ammazzate dopo, se non cambia davvero qualcosa.

Il cambiamento deve partire da noi, dal nostro atteggiamento, dal nostro dire “da oggi basta, da oggi rispondo, da oggi dico la mia”. Non è vietato da nessuna legge costituzionale e solitamente capita che quando si incomincia a reagire, si genera un magico effetto a cascata per cui qualcuno vicino a noi magari sente e prende coraggio e si ribella a sua volta.

facciamolo, donne.

è ora.

#iosonoSara ma non vorrei dover esserlo più.