Del perchè detesto i foodblogger

Non lo so perchè nel bel mezzo delle mie strabenedette ferie io senta l’impellente bisogno di scrivere un post del genere. Solitamente quando mi scaglio contro qualcuno o qualcosa è per dissipare le mie profonde inquietudini interiori, ma sono in ferie, fuori c’è il sole, fa caldo e gli amici mi aspettano al mare nel pomeriggio, i bambini sono bravi e nonostante la pausa lavorativa sto tenendo botta con il mio regime alimentare sano, quindi no, apparentemente e anche interiormente sto benissimo. La verità è che settimana scorsa sono andata a cena con mio marito nel ristorante di un nostro amico chef, il classico posto dove vai senza bambini (santi i nonni, in secula seculorum) e dove ti riempi occhi, bocca e memoria di sapori, odori e colori pazzeschi. E a fine cena ci siamo messi a chiacchierare con lo Chef e tra due risate e un gin tonic preparato a regola d’arte che ancora mi sogno la notte s’è sfiorato l’argomento foodblogger e chissà, magari l’avremmo ulteriormente approfondito ma due tuoni minacciosi ci hanno indotti a scappare via e dopo una corsa sotto un temporale estivo che mi ha ridotta uno schifo, ma che mi ha fatto passare la sbronza seduta stante, la discussione è continuata in macchina. Sì perchè mio marito ha fatto la scuola alberghiera, ha iniziato a lavorare a quattordici anni, per dieci, dodici, diciotto ore in piedi, al caldo, in estate, a Natale, a Capodanno, ad ogni santissima festa comandata e no, quella del cuoco non è una vita rilassante. Sicuramente è piena di soddisfazioni e ben remunerata ma non è facile: non ci sei mai, mentalmente e fisicamente ti logora e la costruzione di rapporti umani sani e duraturi non è proprio così ovvia.

Insomma, stare in cucina è dura.

E ci sta che perdi un po’ le staffe quando le recensioni o i post scritti da quattro sgallettati senza un minimo di preparazione professionale, senza la benchè minima idea di cosa voglia dire stare davvero in una cucina tirano più di tutto quello che un vero professionista ha costruito con sudore, passione e abnegazione per un lavoro massacrante. Li chiamano anche influencer, ma per me sono solo un’infinita schiera di stronzetti spocchiosi e cagacazzo che sproloquiano sui social e sui loro blog di design di fleur de sel, datteri medjoul, lievito madre, raw chocolate, cipolle brasate e uova cotte a bassa temperatura:  oh, ve lo posso dire? Avete rotto il cazzo. Voi e i vostri post inutili. Che fate i fighi nei ristoranti stellati e pompate la cucina sana vegana e a km zero e poi per tirare su quattro soldi fate le collaborazioni con Coca Cola, Nutella e company. Fate ridere i polli, tutti quanti.

Io sono cresciuta tra pentole e cibo, mia mamma è stata cuoca da giovane e ha continuato a casa la sua passione, ho sposato uno Chef che ha fatto quel lavoro per 17 anni ma non mi sarei mai e poi mai sognata di aprire un foodblog o di scrivere un libro di ricette. Ok, cucino bene e i miei amici e mio marito possono confermarlo, ma non ho la pretesa di considerarmi una cuoca. Perchè mi mancano le tecniche, le ore in piedi, le umiliazioni dell’errore che ti fanno diventare migliore. Mi manca l’esperienza. Mi manca la professionalità. Mi mancano le competenze. E quindi cucino per i miei amici e per la mia famiglia e se vado a cena fuori e mangio male in un posto non ci torno più ma metto anche nel conto che magari è stata una serata sfigata, perchè capitano a tutti. In cucina e in sala ci sono degli esseri umani, con le loro vite e capita anche a loro una giornata no. Quindi segno il locale sul mio libro nero, o magari vado a lamentarmi con il maitre o con lo chef magari (e ci vuole una buona dose di coraggio per farlo, il che ti posta a riflettere molto bene se sia il caso o no di tirare su un polverone e nella maggior parte dei casi ovviamente la risposta è NO), ma di certo non vado su internet a tirare merda come non ci fosse un domani sul posto in questione. Perchè è da sfigati e da codardi: insomma è da foodblogger.

E io, grazie e Dio, non lo sono. Io ho un lavoro vero, che mi fa alzare alle sei e mezza, che mi piace e che mi fa portare a casa uno stipendio buono e sicuro e che non vedo l’ora di poter tornare a svolgere a tempo pieno, quando i miei figli saranno più grandi. Per ora vado in ufficio mezza giornata, so di avere un gran privilegio in questo e infatti non mi lamento mai. Anche perché non ne ho il tempo, dato che l’altra mezza giornata la passo con due bambini bellissimi e impagnativi. Nei ritagli di tempo metto assieme una cena dignitosa che non fotografo e non metto su instagram con hashtag ridicoli come #foodporn #foodie #lovefood (ma che cazzo di vita fate??)  a meno che non si tratti di autoproduzione di cui vado ovviamente molto fiera. Se ho ancora un po’ di linfa vitale mi dedico alla scrittura quella vera e uso il blog per sfizio e mai per pretesa. Sicuramente i foodblogger adesso come adesso guadagnano più di me, viaggiano più di me (anche aggratis) e si divertono più di me. Ma il cibo è la più grande bolla economica dopo quella dei SubPrime americani e quando questi incapaci se ne accorgeranno la botta l’avremo già sentita e allora quelli con un lavoro vero (i cuochi che stanno in cucina diciotto ore) avranno finalmente la possibilità di preparare una stracazzo di entrecote in santa pace per quelli come me, che apprezzano o meno il loro lavoro senza rompere troppo i coglioni.

E comunque mi sa tanto che non mi fa bene, essere in ferie.

2 Risposte a “Del perchè detesto i foodblogger”

  1. concordo anche se ho una carissima amica che con un blog di cucina ha praticamente fatto furore (fino ad avere libri suoi allegati a La Repubblica)
    è una pazza che di giorno lavora (ha un impiego più un’attività da architetto free-lance) e mi dicono che se vai a casa sua ci vai a tuo ricschio e pericolo che è metà cucina e metà set fotografico
    ma divago
    il cibo per me è una cosa intima, che va assaporata in compagnia scelta, concentrandoti su quello che mangi e su quello che provi nel stare con certe persone
    e io personalmente le recensioni du Tripadvisor le lascio solo se in un posto sono stata bene
    che è troppo facile giudicare dopo una sola volta la serata no di qualcuno…
    insomma…concordo in toto con te anche sul cucinare per gli amici : quella è una cosa che ci fa stare bene, non una professione
    le professioni sono cose serie che costano fatica e impegno per anni
    e – lasciamelo dire – tutti questi cuochi improvvisati sono figli di quella tv malata che pretende di inculcarci che cucinare è facile

    1. ma infatti. Fosse solo il male della cucina. ormai in tv è tutto così: è facile cucinare, sistemare auto, andare a cercare l’oro ecc.
      Tutto semplice, zero sbattimento massimo profitto.
      in tv
      poi vai a casa e ci provi e ti incazzi perchè non ti riesce niente. e diventi frustrato e molli tutto. Così ci vorrebbero.
      Ma non vale per me (e manco per te), mi dispiace.

      E come la tua amica, che di giorno lavora come una matta e di notte non chiude occhio per inseguire una passione, ce ne sono poche. 🙂

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