Web Democracy

Cucino tantissimo in questo periodo, soprattutto pesce. é che cucinare, per me, è una specie di meditazione (mi sa che l’avevo già scritta tempo fa, questa cosa). Mi metto davanti al frigo, scelgo un po’ di ingredienti apparentemente a caso e comincio a creare così, ex novo. Ultimamente non apro più un libro per riprodurre una ricetta, sto superando quella fase. Secondo Chef è perché ho raggiunto quel livello in cui so cucinare così bene da essere in grado di creare piatti. Un po’ come lui, come un cuoco di professione, ma senza l’attrezzatura professionale, le proporzioni pantagrueliche e la pressione a mille. Insomma, senza la parte veramente difficile dell’essere uno chef, ma solo con la gratificazione di creare qualcosa di buono per chi amo. Mica cazzi, insomma.

Capita che quando cucino io rifletta; sempre per lo stesso discorso che intendo la cucina come un profondo stato di concentrazione mentale. Quando sono immersa tra spezie, erbe aromatiche e sapori contrastanti io comincio a pensare e accade che le mani vadano automaticamente senza stare a seguire quello che fa la testa. E ieri sera, tra una tartare di spada su petali di zucchine crude, una mirepois di tonno, olive taggiasche e arance a cubetti, un carpaccio di baccalà (che, se volete fare, mi raccomando sempre, fino allo sfinimento: CONGELATE sempre il pesce almeno a -20° per almeno 24-48 ore, onde evitare qualsiasi rischio. altrimenti sempre e solo pesce cotto) e una scaloppa di tonno su letto di melanzane alla curcuma, mi sono fermata e ho pensato di fotografare quelle pietanza oggettivamente molto belle e di metterle su un qualsiasi social. E poi mi sono detta: perchè? Da cosa deriva tutta questa necessità di condividere tutto a tutti i costi? La mia vita, prima dei social network, era così diversa? Era meglio? Era peggio?

Era uguale. Esattamente uguale a come è ora.

I miei amici sono sempre gli stessi. Gli amici che ho acquisito sui social network che conosco solo virtualmente li ho trovati tramite questo blog.

Non sono diventata più popolare, non ho venduto più libri, non mi sono fatta conoscere. Probabilmente perché non sono il tipo e anche perché non ho mai saputo sfruttare al meglio questi utilissimi e nuovissimi mezzi di comunicazione, vuoi per mancanza di tempo, vuoi per intrinseca incapacità a barcamenarmi bene nel web. La verità è che un po’ affascinano, ma soprattutto mi intimidiscono e mi fanno anche un po’ innervosire, ma questo deriva dal fatto che dietro un profilo Facebook c’è sempre e comunque un essere umano e a me, quasi sempre, la gente mi fa incazzare. E riconosco che il problema sia mio eh, per carità.

Comunque, al di là del discorso un po’ infantile e inutile “social sì – social no”, che ognuno fa come vuole, la mia riflessione era sull’immediatezza della condivisione. Faccio un’infornata di pane? Tac, la metto su Instagram. Mi viene in mente una battuta sagace? La scrivo su Twitter. Voglio farmi i cazzi degli altri? Mi connetto a Facebook. Come ho scritto in un bellissimo blog che vi consiglio tanto di leggere (Sabine Eck, nei link a destra: merita), se non ci fossero stati i social network, avremmo continuato a bloggare, a usare myspace, a confidarci con la parrucchiera, con il barista, con il perfetto sconosciuto nella sala d’aspetto del medico.

L’uomo ha bisogno di comunicare. Che siano stronzate, banalità, bellissimi articoli, pessime o splendide foto, ricette tutte uguali o innovative, non ci si scappa da quello che diceva il buon Aristotele: l’uomo è un animale politico. Deve stare sul suo pulpito, dire quello che pensa e renderne partecipi tutti quelli che conosce. E nonostante io mi innervosisca parecchio quando apro la mia pagina personale facebook (a proposito, cliccatemi un po’ di “mi piace” su quella del sito, suvvia. Sempre a destra, alla sezione SOCIAL: fate i bravi) o la schermata di twitter, fondamentalmente penso che questo nostro bisogno di condivisione non sia da demonizzare o da condannare: ben venga la tecnologia, la possibilità di stare in contatto con gente dall’altra parte del mondo, di poter scrivere quello che si pensa liberamente e, soprattutto, quasi a gratis.

Il web avrà tanti difetti, ma ha un grandissimo pregio: è democratico. E visti i tempi beh, direi che è una gran bella cosa.

E adesso scusatemi, ma devo andare a decorare la cheesecake che ho fatto assieme a Titu questa mattina e a metterla su Instagram.

4 Risposte a “Web Democracy”

  1. Hai ragione, Laura, l’uomo ha bisogno di comunicare e il web è una grande possibilità, democratica, quasi gratis e per tutti. Io lo adoro, e mi piace, quando ho tempo, comunicare. Con te, per esempio. Il problema è che non tutti lo usano per parlare con altri (e dire cose intelligenti, ma questo è un altro discorso), o per confrontarsi, come mi sembra faccia tu e un paio di altre persone (Arianna e Sabine, di cui hai citato il meraviglioso sito, per esempio), troppi lo usano per un narcisismo personale, per essere visibili, poi non ti cagano neanche se intervieni, tanto tu sei solo una che fa numero, giusto per dire che il sito/blog o altro è molto letto. Per troppi è una vetrina, punto. E quello che mi stupisce è che sono per la maggior parte donne. Naturalmente la libertà regna sovrana (per fortuna), ma quel desiderio “di ribalta” fine a se stessa un pò mi inquieta. Siamo davvero solo un popolo di protagonisti ( e sottolineo, te esclusa, che tra l’altro sei una scrittice, e quindi fai il tuo mestiere nel tuo blog).

    1. vediamo il lato positivo: io considero tutti uno spunto. anche quelli che molto probabilmente se se ne stessero zitti farebbero un favore soprattutto a sè stessi. Alla fine mi danno sempre un’opportunità per discutere. Mica cazzi insomma 🙂

  2. io do al web un merito immenso : ho conosciuto persone che altrimenti mai e poi mai avrei conosciuto, persone che mi hanno arricchito moltissimo, persone che mi hanno aiutato quando ne avevo bisogno
    che perlare col fornaio o il parrucchiere mi piace ma il conoscere gente così diversa da me mi elettrizza 🙂

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