Specchio riflesso.

images-2Che le mamme italiane siano delle ansiose senza precedenti è un dato di fatto e non occorre ribadirlo ogni 3×2.

Però.

Quando sono al mare le noto (anzi, le sento) più spesso che durante il resto dell’anno. E mi viene da chiedermi se magari anche io, in fondo in fondo, non sia un po’ come loro. Chef dice di no, ma secondo me invece si, lo sono eccome. Del resto una mamma che mi ha tirato su ce l’ho avuta come tutti e la signora in questione è italiana al 100% e chioccia all’ennesima potenza: vuoi che un po’ non mi abbia influenzato? Mi sono chiesta se le ansie e i comportamenti che mi infastidiscono nelle altre mamme non siano in fin dei conti gli stessi che dimostro anche io nei confronti di Ale. E mi sono risposta che sì, porcadiquellazozza, sono esattamente gli stessi. Che alla fine, il people-watching non è che uno sparare a zero sugli altri per poter indulgere un po’ di più con se stessi. Ma posso mentire a chiunque, tranne che a me stessa: sono anche io, nei limiti, un’ansiosa mamma italiana. Cazzomiseria.

Anche io sto con il fiato sospeso quando Ale si fa tutta la passerella del bagnino di corsa barcollando come se fosse appena uscito da uno stand dell’Oktoberfest, paventando dentro di me scenari apocalittici di lui che si fa due metri di caduta libera (a rallentatore, ovviamente). Perché la passerella del bagnino, quando ti va bene, è di legno, ma se ti va un po’ meno bene è fatta di lastroni di cemento su cui tutto il giorno batte il sole. Sei obbligato a farla di corsa, altrimenti arrivi a riva che hai i le piante dei piedi più erose di un fachiro indiano, ma se sbagli qualcosa e cadi poi ti rialzi che sembri un lebbroso. Ora: tutti, da bambini, siamo caracollati rovinosamente sulla passerella. Io sicuramente più di altri coetanei, che ero davvero impedita da piccola, ma questa è un’altra storia. Non ho mai sentito di nessun bambino morto per ferite da impatto con passerella, eppure ogni volta che Ale corre giù verso la riva, nonostante cerchi di sopprimere quell’istinto becero, lui viene fuori da solo e si palesa con la frase che mai, mai e poi mai avrei pensato di ripetere con così tanta frequenza a mio figlio:

“non correre”

Ora, onestamente: non c’è una cosa più brutta da dire. I bambini che corrono sono la massima espressione di energia, forza, vitalità, spensieratezza: limitarli in questo quando il contesto in cui sono è praticamente sicuro al 100% come in spiaggia, è davvero il massimo della cattiveria. Quando ero incinta, oppure quando Ale era ancora un’ameba da passeggino, odiavo le mamme così e  adesso faccio come loro, per paura che lui si faccia male. E non c’è niente di più stupido e inutile di questo. Riflettendo su questo, ho avuto la bella idea di fare la lista delle mie paure: inizialmente l’ho presa come un gioco, che fa tanto metodo di self-help da rivista femminile. Poi, mano a mano che l’elenco si allungava, sono stata leggermente presa dal panico: quella maledetta lista era davvero troppo lunga. Allora sono andata nella mia bella cucina dai pensili color mandarino, ho cercato conforto in quel colore così allegro, ho chiuso gli occhi, mi sono fatta un caffè, ho annusato il suo buon odore, me lo sono gustato lentamente, mi sono fatta avvolgere dal suo gusto intenso e rassicurante. E mi sono detta, che cazzo Laura, è ora di far basta, o ti verrà su un figlio disadattato, paranoico e impedito. Onestamente, non so come si possa fare, a combattere contro sé stessi. Anche perché io sono una tra i massimi esponenti dell’auto-indulgenza, ma da qualche parte dovevo pur iniziare: e allora per prima cosa mi sono imposta di limitare al massimo la parola “non” : l’ho odiata per 28 anni più di ogni altra cosa, e mi sono ritrovata poco dopo ad utilizzarla con una frequenza inquietante. Sembra una cazzata, ma tra “Non correre” e “Vai più piano” non c’è solo una distinzione semantica: il carico di ansia è enormemente alleggerito. E se cade oh, amen, lo lancio in mare, che si sa che il sale cauterizza.

Essere una mamma attenta, vigile e poco apprensiva allo stesso tempo non è facile, ma voglio provarci. Voglio uscire dagli schemi, voglio essere italiana solo per le cose belle come il buon cibo e la vita all’aria aperta. Voglio che mio figlio continui ad essere il bimbo sereno che è sempre stato e che non abbia paura della sua ombra: che si confronti con gli altri senza timore di non essere all’altezza. Che possa giocare senza paura di farsi male; non come me, che a cinque anni avevo paura di scendere le scale, che ho imparato ad andare in bicicletta a otto anni o che fino alla prima elementare andavo in spiaggia con le scarpe da tennis perché avevo paura delle conchiglie. Questo non significa che domani lo iscriverò a un corso di parkour, ma nemmeno che continuerò a farmi guidare dall’ansia; tengo la lista nel portafoglio, su un pezzetto di carta. è lì, a portata di mano, a ricordarmi la cosa più semplice di tutte: essere una buona mamma non è impedire ai propri figli di cadere, ma è esserci quando hanno bisogno di una mano per alzarsi.

Dai, ce la posso fare. Ma proprio alla grande.

8 Risposte a “Specchio riflesso.”

  1. C’è una frase che mi ronza nella testa, e avrò letto più o meno ovunque: il concetto è “non dare più divieti del necessario o il bambino si ribellerà per partito preso”. E in una giornata costellata di:
    – non correre
    – non pucciare i giocattoli nel water
    – non versare l’acqua per il pavimento
    – non sbattere le porte
    – non far venire l’esaurimento nervoso alla mamma
    Non sai davvero da che parte cominciare. Ma sono sicura che ce la faremo! :*

    1. Rido da un paio di giorni per quella dei giocattoli pucciati nel water. Sappi che sono tutti anticorpi 🙂

      Certo che ce la faremo. Io mi sto impegnando molto 🙂

  2. c’è un’altra cosa che mi manda in bestia aggiunta al non correre e che sento spesso ripetere : non correre che sudi
    comunque quando andavo a karate c’era nel mio corso una ragazza tedesca sui 30 trapiantata in Italia per amore
    e una volta mi disse che lei voleva essere una mamma italiana, che quando avrebbe avuto un bimbo voleva tirarlo su come le mamme italiane, che adora il nostro modo di prenderci cura dei figli, cosa che in Germania non vede, adora il nostro stare sem,pre attente a quello che succede, a far mangiare solo il meglio ai nostri figli e seguirli in ogni cosa che fanno
    mi ha raccontato di come da piccola sua madre l’abbia obbligata per anni ad andare in piscina
    all’aperto
    immagina la temperatura invernale
    dava la colpa a questo al fatto che adesso sente sempre freddo e ha detto con un candore assoluto che i figli in Germania se ne vanno presto dalla famiglia perché la famiglia è poco accogliente e allora stanno meglio con gli amici
    io lo trovo terribile
    e non sono mamma (come si sa) ma quando portavo mia nipote al parco morivo d’infarto ogni volta che lei entrava nel tubo dello scivolo e tardava un nanosecondo ad uscire…
    ce l’abbiamo nel sangue credo, anche se mia mamma è sempre stata molto attenta ma poco ossessiva

    1. Si in effetti non è una bella cosa andarsene di casa perchè i tuoi sono poco accoglienti. Io credo che ci vorrebbe una sana via di mezzo tra il “non correre che sudi e poi muori” e il fargli fare il bagno nel Baltico a gennaio. Un compromesso. Un essere presenti senza opprimere: credo sia la cosa più difficile per un genitore, non tutti ci riescono. I miei ce l’hanno fatta all’80% e mi ritengo fortunata. Il risultato è che me ne sono andata di casa abbastanza presto, a 25 anni. Ma torno con piacere a pranzo dai miei.
      Spero di fare come loro: sbaglierò qualcosa, che siamo tutti umani. Ma mi sto impegnando per crescere una personcina autonoma, serena e sicura di sé.
      Per ora i risultati sono ottimi… ma si sa, tre anni sono pochi 🙂

  3. Cara Laura, che bel post! Mi è piaciuto moltissimo perchè spiega con la sana leggerezza che ci vuole i patemi d’animo di una mamma. E non farei problemi di nazionalità, ci sono tedesche, svedesi e inglesi ansiose: solo che l’ le aiuta una cultura diversa. E secondo me davvero migliore. Lì non è che non esistono divieti: ne esistono pochi, ma validi. E su quelli non si deroga. Faccio un esempio: spiaggia greca, 40 gradi (anche se ventilati) all’ombra. Famiglia olandese: arrivano, i bimbi si svestono (da soli), in silenzio, mettono il cappellino, si lasciano incremare per bene e vanno dove vogliono, sempfre senza urlare (e non è che in quei paesi gli tagliano le corde vocali, eh, semplicemente gli insegnano l’educazione, chè urlare disturba). Il papà spiega le quattro regole da rispettare (sentite io, è un esempio reale): non andare al largo, non picchiare tuo fratello, se tichiamo torni subito, tieni il cappello. Poi si mette tranquillo a leggere sotto l’ombrellone. Quattro divieti, all’interno dei quali il bimbo è libero di fare ciò che vuole, dunque è tranquillo. Una volta sola va al largo. Il padre non urla, non sbraita, non chiama il bagnino (che non c’è) facendo venire il cardiopalma a tutti i presenti. Si butta, lo recupera, lo porta in casa ( a albergo che sia) e per tutto il giorno, per punizione, non lo fa tornare in spiaggia. Il bimbo non va più al largo (almeno per i quindici giorni successivi in cui lo vedo).
    Famiglia italiana: arrivano già in ansia, con palle, palloni, a volte ahimè anche giochi elettronici (ma il mare non serve per…fare mare?). La mamma inizia a spogliarli (anche se hanno sette anni, ma vi sembra?), e inizia: no, non togliere la maglietta, ti bruci (le creme solari no?), no, non fare il bagno hai appena mangiato (a 40 gradi???), no non togliere i sandalini, la sabbia scotta (che, il bambino è cerebroleso che non sente se i piedi gli fanno male o no?) metti tutto in ordine (e intanto riassetta lei) e via discorrendo, in un continuun fastidiosissimo e ovviamente ad alta voce (bè, vuoi vedere la soddisfazione di mostrare a tutta la spiaggia che sei MAMMA? mica cosa da poco). Il bimbo, già esaurito e accaldato, che fa? Da persona normale si butta in acqua, con maglietta e tutto. Apriti cielo! Che pericolo sta correndo! Però non lo si punisce (troppo faticoso smettere di urlare, alzarsi dalla sdraio e portarlo via), gli si dà altri ordini assurdi, il bimbo non capisce più niente, costretto a troppi imput diventa isterico, strilla, e la cagnara va avanti tutta la mattina o almeno finchè sono isterica anch’io (che voglio leggere il mio libro in tranquillità e sentire il rumore del mare) e me ne vado, per non strozzare quella madre.
    Ecco, la differenza è qui, e ogni manuale di psicologia lo spiegherebbe: rendere autonomi i bambini senza che si facciano del male. Punto.

    1. No io tendo a comportarmi come il nordico, tant’è che in spiaggia io mi sdraio sempre sul lettino e mio figlio di quasi 3 anni gioca lì vicino con secchielli, palette e ruspe, senza stress e divertendosi. Poi, quando si stufa, andiamo a fare un bagno, così può anche giocare a riva, correre e divertirsi. Io lo guardo, ma lo lascio fare. E soprattutto NON URLO. Io odio le mamme che urlano ai loro figli, senza alzare il culo dalla sdraio.

      Poche regole, ma buone. Sono cresciuta così e cerco di applicare la stessa filosofia.

      Ma c’è il giorno anche per me in cui sono stanca, non ho voglia, sono più irritabile ecc: è in quei momenti che devo sforzarmi per non diventare un esempio di “mamma histericus”. Ci provo, ma non sempre ci riesco.

      1. Bè scusa mi sembra normalissimo ogni tanto perdere il lume della ragione: anche perchè i bambini a volte fanno veramente di tutto per farci sclerare. Non ho mai capito perchè: mia figlia a volte, ma fin da piccolissima (tipo quattro anni), mi sfidava proprio. Secondo me voleva tastare il punto di rottura, quello oltre il quale sua madre si trasformava in belva umana. Poi si calmava, soddisfatta. Il mio discorso era in generale, poi ovviamente ognuno di noi fa i conti quotidianamente con la sua resistenza (fisica e mentale). Insomma le eccezioni ci sono sempre, no? Non siamo mica perfetti.

  4. @ not for ever: non ci trovo nulla di male nel fatto che i figli se ne vadano di casa perchè la famiglia è poco accogliente. Almeno se ne vanno, mica rincoglioniscono in casa sino ai 40 anni come in Italia. E i risultati si vedono. Sì, i tedeschi fanno così, e, per quel che ho visto, molti nel nord europa. Non mi risulta però che i loro figli muoiano assiderati o si ammalino più dei nostri (anzi, il contrario).
    Credo che il segreto perchè i figli crescano veramente e si rendano indipendenti sia proprio nel rendere loro la vita difficile, dai diciotto anni in poi, in casa. I miei hanno fatto così: regole ferree, che mi pesavano moltissimo (tipo in questa casa si cena alle 19.30, dopo il “ristorante” chiude perchè la mamma lavora e ha diritto dopo una certa ora a starsene in pace senza dover ripulire tutto chè come lasci tu la cucina fa schifo), nessuno che mi facesse da “cameriera” se non la colf occasionale che però, sicoome veniva pagata dai miei, non poteva trovare la mia camera in un cesso di disordine altrimenti non la faceva, e via discorrendo. Me ne sono andata a ventidue anni, esaperata, e non c’è giorno in cui non ringrazi i miei di aver fatto così. Se potessi, farei loro un monumento, davvero. Mi hanno aiutata a tirare fuori la voglia di indipendenza che ciascuno, sano di mente, dovrebbe avere. Certo, nei momenti difficili della mia vita ci sono sempre stati, e finchè sono vissuti non mi sono mai sentita sola. Anche se abitavo lontano. Per me sono Genitori con la G maiuscola. Quando vedo quelli di oggi mi fanno pena. Loro e i loro figli.

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