Ode alla lentezza

Giovedì scorso la mia amica mi ha portata con sè a provare una lezione di yoga.

Ci sono andata con una grandissima curiosità, dote che mi contraddistingue da sempre, ed ho volutamente lasciato la mia capacità di osservare le persone e il mio spirito critico a casa. E ho fatto bene. Anzi, mi ha fatto bene. Perché ok fare “people-watching” , come mi scriveva una ragazza in un commento al post precedente, ma c’è modo e modo di farlo e certe situazioni devono esserne esenti.

Mi piace lo yoga e ho deciso di iscrivermi per il primo bimestre. E se mi dovesse piacere continuerò. Avendo fatto solo una lezione non saprei dire con precisione cosa mi abbia così tanto colpito: so solo che l’ha fatto. Ero rilassata, serena, in pace. Mi piaceva l’atmosfera dei quel gruppo coeso ma comunque aperto alle persone nuove: quasi tutti sono venuti a presentarsi dopo la lezione e scherzavano come se ci conoscessimo da sempre. Quella faina della S. lo sapeva, ecco perché mi ci ha portata. Quindi, se leggi, sappi che ti devo una cena di sushi fatto dalla sottoscritta.

Il weekend è stato pigro, lento. Del resto, con un freddo polare fuori, chi ha voglia di uscire a prendersi magari un bel raffreddore di quelli seri? No grazie, abbiamo preferito limitare la mondanità ad una cena con la famiglia Chef a base di specialità montanare sabato sera che, visto il tempaccio da lupi, ci stava. La domenica è stata dedicata a Sua Maestà il Divano, con una piacevole e costante intrusione di Sua Altezza il Camino che crepitava in sottofondo. Insomma, un inno al sano cazzeggio.

Ora il piccolo terremoto è in camera sua che se la dorme alla grande e io ne approfitto per scrivere un po’ del mio nuovo romanzo, grata al destino di avere un figlio così buono e rilassato per le mani. Più lo guardo, più non solo mi rendo conto di essere fortunata, ma anche abbastanza soddisfatta del modo in cui lo sto allevando. Che sembra solo una questione di culo, ma invece io un po’ di merito me lo vorrei prendere, se non vi secca troppo.

Diciamo che quando un bambino è buono, un buon 50% è culo. La percentuale che rimane te la giochi ogni giorno e puoi scegliere di vanificare l’immensa fortuna di avere un esserino di indole tendenzialmente buona bombardandolo con le tue ansie e le tue paranoie, rovinandogli l’infanzia e la salute e precludendogli ogni possibilità di continuare ad essere quello per cui era programmato ad essere, cioè un bambino sereno. Oppure puoi cogliere la palla al balzo, anteporre la vostra salute mentale e fisica a lungo termine a tutto il resto e goderti la vita come è giusto che sia. Senza stress, senza paranoie, senza aspettative troppo alte.

Questo non significa che io sia una di quelle tizie zen che non se la prendono mai, non strillano mai, non si incupiscono mai, anzi; chi mi conosce bene sa quanto io possa essere umorale, indisponente e autodistruttiva alla volte. Scatto per niente e non ho molta pazienza, tranne che con lui: mio figlio tira fuori il meglio di me, sempre. Riesce a farmi prendere la vita con una leggerezza d’animo che non ricordo di aver mai posseduto. Proprio io, sempre così cervellotica, analitica, irrequieta e impaziente sto imparando grazie a lui l’arte della pazienza e della quiete. Sembra assurdo che un bambino di due anni possa insegnare qualcosa a una donna di trenta, la stessa donna che dovrebbe essere preposta alla sua educazione. Eppure è così, ed è incredibilmente semplice: dai bambini c’è sempre da imparare. Ci insegnano a vivere in una dimensione fatta di emozioni libere, forti, sane. Senza giudizi affrettati, senza pipponi mentali: per un bambino non ci sono sfumature di grigio, ma solo bianco o nero, tutto o niente. Non ci sono se, ma, forse, vedremo: l’egoismo sano che un bambino pone come condizione per un qualsiasi rapporto fa in modo che tu debba annullare tutto il tuo bagaglio culturale (o background, se siete di quelli che vi credete più fighi se usate 2 o 3 parole in inglese…) e regredire al suo livello. Per me è una ventata di aria fresca in una giornata fatta di lavoro, scadenze, bollette, spesa, conti da far quadrare, lavatrici da stendere, lavastoviglie da caricare, pane da cuocere, cena da mettere in tavola e via di questo passo. Potermi sedere sul tappeto giallo del salotto, ribaltarci sopra –numero multiplo di mille- costruzioni e pezzi di puzzle e lasciarmi guidare dall’istinto non è educare mio figlio: è semplicemente divertirmi con lui (e in molti casi, lo confesso, più di lui).

La quiete, la pazienza, la rilassatezza, la forza, la riflessione: sono tutte capacità, o virtù se preferite, molto sottovalutate. Fa molto più figo essere cattivi, caustici, taglienti, arrivisti, nervosi. Bene e spesso chi dice “non ho tempo, ho troppe cose da fare” viene considerato più produttivo e socialmente più utile di chi fa la stessa cosa, ma magari con più calma.

Essere calmi o pazienti non è solo una questione di indole, ma anche e soprattutto una questione di scelta. Io ho dovuto fare un figlio per arrivarci, ma considerando che sono diventata mamma abbastanza presto non ho perso tanto tempo. C’è chi questa cosa la fa sua dalla nascita e chi non la imparerà mai, trincerandosi dietro un muro di scuse e di emozioni negative per paura di perdere il proprio ruolo fondamentale nella partita.

Correre, accumulare, produrre. Arrabbiarsi. Per poi andare sempre più di fretta, in affanno. Poi correre, accumulare, produrre. Sempre.

Poi uni si chiede come mai basti un’influenza per mettere ko un intero continente.

Bisogna rieducarsi alla lentezza.

Non ci vuole molto, vi faccio un esempio pratico: da quando mi sono imposta di alzarmi dieci minuti prima per fare colazione con calma non solo arrivo a lavoro con mezz’ora di anticipo, ma ci arrivo con più energie, con più voglia di fare e le cose mi riescono meglio. Per tutto l’arco della giornata tengo a bada la fame, perchè mangio più lentamente: questo genera un’ impennata di autostima. mangiare meno e soprattutto meglio fa si che la mia mente sia più lucida e produttiva sul lavoro ed essendo ben disposta verso l’esterno riesco ad organizzare meglio le mie giornate: cammino, scrivo, la casa non è invasa da cavallette esotiche che si cibano della polvere che cresce libera e felice un po’ ovunque. Che sia in quei dieci minuti di sveglia anticipata, la chiave del mio personale successo? Non credo: non sono i dieci minuti a fare la differenza, ma a come imposto la mia giornata a partire proprio dalla scelta di iniziare pensando al mio benessere. Il sano egoismo dei bambini di cui parlavo all’inizio del post unito alla consapevolezza di saperlo elaborare per ricavarne benessere per me e per chi mi sta intorno; se io sto meglio, tutti quelli che hanno a che fare con me staranno meglio.

Quando realizzi quanto sia facile, ti dai del coglione almeno per i primi due giorni.

Piccola nota a margine: essendo portatrice sana di femminitudine, in questo bellissimo discorso non rientrano cinque merdosissimi giorni che con scadenza mensile mi ricordano che no, per il momento la mia famiglia non si sta allargando.

Sono sempre io eh. Più quieta, come Fonzie, ma pur sempre io.

2 Risposte a “Ode alla lentezza”

  1. La frenesia logora. Mi logora quando anche ad un invito ad un caffè ci si sente rispondere “non ho tempo”, mi logora quando mi ricordo 29 cose prima di uscire di casa e ciononostante mi si fa notare che ne ho mancata una 30esima, 31esima e via discorrendo.
    Vivo la mia vita con una todo list scritta con un tratto incerto di matita (e ogni tanto mi ricordo di trascrivere sullo smartphone), e ogni tanto depenno qualche voce. Nei tempi e nei modi che piacciono a me.
    Non siamo tutti costretti a correre: tanti anni fa sono stata a Tokyo e la gente nelle scale mobili si disponeva in due file parallele; una fila era per chi aveva fretta e l’altra per chi stava seduto ad aspettare di arrivare in fondo alla scala. Qui invece ci si sparpaglia e spintona perchè chi ci sta vicino non è propenso a seguire le nostre intenzioni, qualsiasi esse siano. E ogni volta che penso di non saper reggere i ritmi quotidiani, ripenso a quelle scale piene di orientali che parlavano una lingua tanto diversa dalla mia.

    1. Anche nella metro di Londra ho visto la doppia fila che citi tu: è una questione di civiltà, rispettare i ritmi altrui.
      Noi siamo sanguigni, pecorecci e indisciplinati: quando questo sfocia in una genialata artistica va bene, per carità. è che il genio non è così frequente come il cafone, purtroppo.

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