il vero mostro siamo noi.

è purtroppo recentissima la vicenda della maestra di scuola materna del riminese che è stata messa agli arresti domiciliari perché vessava, strattonava e trattava malissimo i bambini della sezione che le erano stati affidati. Nemmeno a dirlo, la notizia ha fatto il giro dei social in un secondo e come era normale che accadesse, ci sono state le reazioni più disparate. Il fatto è che quando si apprende che la figura a cui affidiamo i nostri figli e che, per l’appunto, dovrebbe sostituirci quando noi non possiamo fare i genitori, ci tradisce profondamente e fa anche del male (psicologico o fisico poco importa, sempre di violenza si tratta) ai bambini, che non possono in alcun modo difendersi, fa ribollire il sangue anche al più fricchettone del mondo. Personalmente io mi sono sentita male. In senso proprio fisico: mal di stomaco, tachicardia, mal di testa, nausea: perché pensavo ai bambini. Perché al loro posto ci ho messo Ale e Andre e beh, mi veniva da piangere. Dicono si chiami empatia, la capacità di mettersi totalmente nei panni dell’altro e riuscire quasi a sentire quello che sta provando. Io sono molto empatia, ecco perché soffro di emicrania.
ma principalmente la reazione comune è stata un’altra: gente che inneggiava alla forca, gente che fomentava la reazione violenta, gente che ha resi pubblici nome e cognome della maestra, sperando forse che si creasse uno squadrone di gente pronto a pestarla a sangue. gente che invocava la pena di morte con azione immediata. Gente che scriveva senza nessun problema “datela a me cinque minuti e non ne esce viva”, senza nemmeno pensare che se fosse successo davvero e l’aggredita avesse deciso di fare qualche screenshot, poi le cose scritte a caldo su un social possono anche prendere un altro peso.
Perché è inutile girarci intorno: bene e spesso nascondiamo la nostra cattiveria e la nostra aggressività dietro all’indignazione. Tutti gridiamo al mostro, ma in realtà non siamo meno mostri a nostra volta. Perché invocare la morte o la sofferenza fisica di una persona che ha inflitto del male, non è una reazione civile. Poi magari andate anche tutti in chiesa la domenica. magari siete gli stessi che sono andati al Family Day a gridare che i gay sono “contro natura” e che sono sbagliati. Sempre andando a prendere l’ostia consacrata una volta a settimana, mi raccomando.
Ora: va da se e non dovrei nemmeno precisarlo qui che la posizione di questa signora è completamente indifendibile, che va perseguita e punita per quello che ha fatto. Ma io non credo che risolvere la violenza con la violenza sia la strada più sensata da percorrere. Ovvio che se fosse capitato a me, dopo lo sgomento iniziale sarebbe subentrata la rabbia. Ma poi se ne sarebbe andata, lasciando il posto a un sentimento che non va più di moda: la comprensione. Non del soggetto, ma del problema. Sicuramente qualcuno si sarà chiesto come si sia potuti arrivare a tanto, no? Come sia stato possibile che una persona già segnalata e sospesa dal suo incarico sei anni fa per gli stessi motivi fosse responsabile di una sezione con una ventina di bambini. davvero pensiamo che l’installazione delle telecamere possa risolvere tutta la complessità della questione?
Allora mettiamole nelle palestre. Mettiamole all’oratorio (visto quello che è venuto fuori negli ultimi anni, sarebbe il caso, no? o violentare i bambini a catechismo va bene?). Mettiamole nei campi estivi. Mettiamole ovunque, facciamo capire ai nostri figli che li affidiamo a delle figure educative che non rispettiamo e di cui non ci fidiamo. E poi però non meravigliamoci, se cresceremo persone incapaci di nutrire rispetto e fiducia nel prossimo.
Perché sarà colpa nostra, se avremo cresciuto tanti piccoli mostri egoisti.
Io sono dalla parte della fiducia, dell’ascolto, soprattutto dell’ascolto dei bambini. Sono dalla parte dei deboli e di chi non si può difendere. Ma non usando il potere e il controllo. Perché così diventerei un mostro, come quella maestra che ha abusato di un potere che non avrebbe dovuto avere più già da sei anni.
Andiamo in profondità, per quanto possa essere doloroso. Affrontare tutto questo è più difficile di scendere in piazza a raccogliere firme per una cosa inattuabile (non ci sono i soldi per mettere a norma le scuole, figuriamoci per installarci le telecamere).
Scendiamo in piazza perché quella maestra non venga più riabilitata ad insegnare, questa volta davvero. Scendiamo in piazza per avere un sistema che funzioni meglio e che sia più trasparente, ma per davvero.
Dalla parte di chi non si può difendere e non contro qualcuno.